Quella che si combatte sugli scaffali è una guerra dell’etichette alimentari all'ultimo slogan, non tutti però risultano essere veritieri.
Quella che ogni giorno si combatte sugli scaffali e tra le corsie del supermercato è una vera e propria guerra guerra tra etichette alimentari a colpi di slogan. Per riuscire a battere i competitors ed invogliare il consumatore all’acquisto, ogni prodotto viene presentato utilizzando immagini e parole che solleticano il bisogno sempre più insistente di scegliere alimenti buoni, sani, genuini, leggeri ed ecosostenibili che rientrano tra i food trend 2021.
Non c’è nulla li sbagliato nell’utilizzare questo sentiment. Ogni venditore degno di questo nome mette in evidenza tutti gli aspetti positivi di ciò che vende. Tuttavia farsi notare e farsi ricordare sono due concetti abbastanza diversi. Se al momento dell’acquisto possono anche funzionare certe forzature, alla lunga la qualità del prodotto e la fiducia in chi lo produce sono i parametri che vengono presi in considerazione. Occorrono “vent’anni per costruire una reputazione e cinque minuti per distruggerla”. Oggi questa celebre frase dell’imprenditore e filantropo Warren Buffett risulta essere più vera che mai. I consumatori sono sempre più attenti, informati e consapevoli, e sono sempre meno numerosi quelli fedeli a prescindere a un prodotto e a una marca.
Sul lungo periodo, le etichette corrette e trasparenti fidelizzano di più. Per un patto di fiducia tra prodotti e consumatori l’etichetta dovrebbe essere caratterizzata da vari fattori. Analizziamoli insieme.
Nella parte frontale dell’etichetta andrebbe riportato non solo il nome commerciale del prodotto, ma anche la “denominazione di vendita”, che illustra più chiaramente la natura dell’alimento. Questa informazione (obbligatoria per legge) finora è stata relegata in una posizione meno visibile, in genere vicino alla lista degli ingredienti.
Quando si mette in evidenza un particolare ingrediente (per esempio le nocciole) andrebbe indicato – con un carattere dello stesso tipo e della stessa grandezza- anche la percentuale in cui è presente. Se sono stati usati ingredienti che hanno una funzione simile (per esempio: olio di semi, olio di oliva e olio extravergine di oliva) va enfatizzato il più pregiato solo se è presente in un quantitativo maggiore, rispetto agli altri.
evitare di definire con gli aggettivi “naturale, “artigianale” “tradizionale” i prodotti industriali, a meno che la ricetta e il procedimento con cui sono stati ottenuti non giustifichino realmente quegli appellativi.
definire un alimento “integrale” solo quando tutta la farina impiegata è effettivamente farina di cereali integrali.
Sui prodotti con un profilo nutritivo discutibile meglio rinunciare a usare slogan nutrizionali e salutistici come ad esempio “ricche di fibre” su una confezione di patatine.
Oggi, soprattutto in yogurt e bevande gassate, lo zucchero viene sostituito in tutto, o in parte, con edulcoranti. Quando questo succede, la denominazione di vendita lo dice (per esempio: “bevanda con edulcoranti”). Purtroppo questa indicazione, obbligatoria per legge, è confinata dai produttori sul retro dell’etichetta. Gli edulcoranti non sono il male assoluto, ma vanno assunti con cautela.
gli ingredienti devono essere riportati in modo chiaro e comprensibile, evitando espressioni e percentuali fuorvianti. La lista degli ingredienti dovrebbe essere rintracciabile e di immediata leggibilità (caratteri grandi e forte contrasto di colore tra le scritte e lo sfondo).
il prodotto è da rappresentare in modo fedele e realistico, evitando immagini fantasiose che hanno poco a che vedere con Il contenuto della confezione. Sì a (belle) foto veritiere, no a foto finte.
Per migliorare molte etichette presenti sul mercato ci vorrebbe davvero poco ma solo un numero ristretto di brand ha adottato dei cambiamenti che puntano alla trasparenza. È tempo di passare da una pubblicità artefatta ad una veritiera e onesta: schierarsi dalla parte del consumatore potrebbe essere un’ottima strategia.
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